di Titti De Simone*
Ho letto recentemente sui quotidiani, che a proposito della proposta politica della mozione 1, il compagno Paolo Ferrero, avanza un punto fondamentale di analisi sulla sconfitta: abbiamo perso a causa del governo Prodi, dobbiamo ritornare nella società e fare come la chiesa e l'esercito. Come modelli ispiratori di questa sua tesi, Ferrero parla dell'utilità sociale degli oratori e delle mense della Caritas, ricordando che in Olanda il partito del pomodoro le ha fatte, e che anche noi dovremmo cominciare. Un assaggio dell'ossatura strategica del partito sociale. Ho cominciato a riflettere sul significato e sul profilo di questa visione e non sono d'accordo almeno per due ragioni. 1) Chiesa ed esercito? Premetto che considero il ruolo di tanto associazionismo cattolico e laico, straordinario, da lì provengo, e ho piena ammirazione di quanti si impegnano in questo spesso indispensabile lavoro, che colma l'assenza di politiche sociali pubbliche, spesso integrandole egregiamente a fronte dei progressivi tagli al welfare. Ma non è di questo che qui si tratta. Piuttosto del fatto che pensando alla sinistra da ricostruire, alla sua tradizione, alla sua storia, al movimento operaio, alle culture critiche di oggi, alla necessità di ricostruire una soggettività anticapitalista che non separi diritti sociali da quelli civili, non vorrei essere né come la chiesa degli oratori, né come l'esercito della ricostruzione. Innanzitutto, una premessa. Crediamo davvero che pur avendo subito una sconfitta storica col referendum sul divorzio e sull'aborto, la chiesa abbia risalito la china grazie agli oratori, e non invece grazie in virtù di una politica sempre più in crisi, sempre più separata dai soggetti sociali, sempre più supina agli interessi delle gerarchie vaticane e dei poteri forti, e affascinata dalla caccia al voto cattolico fino alle derive centriste che dalla Bolognina ad oggi hanno segnato la storia di ciò che fu il più grande partito della sinistra italiana? Voglio dire, la fine della Dc come grande partito dei cattolici ha rappresentato anche l'avvio di una vera e propria diaspora dei cattolici in politica, con la scomparsa di un partito di mediazione, di sintesi a cui interessava innanzitutto la gestione del potere. Quando nel 2000 si svolge il World Gay Pride a Roma, i movimenti riescono a vincere malgrado la forte campagna di opposizione alla manifestazione del Vaticano e delle parrocchie. Vi ricordate che grande manifestazione di popolo? E' stato l'avvio di una stagione importante di movimento in cui la sinistra radicale e con essa i movimenti, con una iniziativa politica diffusa nel paese (che ha agito anche dentro le istituzioni, le amministrazioni comunali, il parlamento) con l'enorme appoggio dei mass media, sono riusciti a creare senso comune nel paese. Era la politica ad essere più indietro allora del paese. Oggi rischiamo che questo quadro si rovesci, e gli oratori hanno alle spalle una grande organizzazione di massa, forse la più grande e potente che esista, appunto la Chiesa Cattolica, che costruisce egemonia culturale e si impone in Parlamento. Fino a quando non si ricostruirà una grande sinistra, un progetto politico di massa, credo che non ne usciremo. Per uscire dalla sconfitta non possiamo limitarci ad un intervento sociale (se non di volontariato nobile e prezioso) ma scisso dalla dimensione politica, (che è esattamente il processo di americanizzazione della politica). Credo che al contrario sia necessario porsi il problema della ricostruzione di un progetto politico e culturale della sinistra di alternativa, in grado di dispiegare un'idea complessiva di società diversa, senza la quale temo che l'egemonia culturale delle destre avrà ancora lunga vita in Italia e in Europa. 2) Poi c'è un'altra ragione che attiene alla cultura politica, che per me non è separata dalla linea, dalla strategia. Abbiamo impiegato decine e decine di anni, per decostruire la mistica umanitaria della chiesa e dell'esercito, (che negli ultimi 15 anni ha spesso coperto le peggiori nefandezze compiute in giro per il mondo, come la guerra nei Balcani) proprio grazie ai movimenti, quello pacifista, quello delle donne, quello GLBTQ, svelandone in realtà l'aspetto prevalente, cioè quello d'ordine e di oppressione, non possiamo sforzarci di immaginare altro? Se non siamo stati disertori, siamo stati obiettori di coscienza! L'esercito fra l'altro oggi si ri-presenta nella peggiore torsione autoritaria e repressiva che lo vede funzionale al restringimento dei diritti e degli spazi di democrazia, vedi nuove leggi sull'immigrazione. Allo stesso tempo, non credo che il sacrosanto "fare società" possa fare a meno della dimensione politica, cioè delle irruzione delle soggettività sociali nella politica e non del suo opposto. Ogni volta che questo paese ha subito dei traumi profondi, c'è stata una sollevazione di popolo gigantesca, civile e democratica, spinta dalle grandi e tradizionali forme di organizzazione politica di massa, (penso al Pci e al sindacato, ma anche alla spinta ideale del '68). E' stato così ad esempio per l'alluvione di Firenze del '66, in cui migliaia di giovani da tutta Italia accorsero nelle forme anche più spontanee per mettere in salvo il patrimonio culturale del paese, ma anche per annunciare un nuovo protagonismo politico di quella generazione. Così fu nel Belice, dopo il terribile terremoto del '69 che segna ancora quella terra. Quella risposta sociale, civile fu possibile perché quella generazione si tuffava nella politica, non si rifugiava nel sociale, ma lo permeava nella dimensione politica. La società irrompeva nella politica, non il suo contrario. Come allora, oggi, io penso che questo sia il processo che bisogna tentare di ricostruire. La domanda di un progetto politico e sociale di cambiamento, di radicale trasformazione. Quando andavo all'Università, negli anni delle stragi di mafia in Sicilia, ho fatto volontariato sociale nei quartieri di Palermo. Ho fatto questo lavoro con l'Arci, l'ho fatto anche aiutando quei sacerdoti impegnati nell'antimafia sociale. Ogni volta che ammazzavano un magistrato, un giudice, un poliziotto, quel lavoro diventava più fragile e solitario, i bambini ai quali facevo doposcuola cominciavano ad assentarsi, le famiglie gli impedivano di rivolgersi a noi. La realtà crudele di quella solitudine sociale irrompeva e travolgeva ogni volta il nostro lavoro. Si doveva ricominciare da capo. Proprio perché ammiro e ritengo indispensabile quell' impegno sociale, so anche che senza il nesso con un progetto politico generale di trasformazione, quel lavoro resta piantato esclusivamente nella sua dimensione sociale, ed è più solo, più fragile. Non si fa società. Non crea senso comune. Nella situazione in cui siamo, anche lo spazio del radicalismo sociale oggi ha il problema di non essere espulso dalla dimensione politica, di affermare la propria soggettività e di unificare la capacità di produrre egemonia culturale e trasformazione. Per reimmergersi nella società, ricostruire un'utilità sociale della sinistra non basta organizzare mense per gli immigrati o i disoccupati, che altri fra l'altro fanno già benissimo, serve forse ricostruire con chi le fa e con chi ci va un progetto comune. Ha ragione Tronti: il sociale non va descritto, va ricostruito da una capacità di inchiesta nei territori, dei soggetti sociali "che si costituisce come nuova progettualità politica". Per quanto in crisi, da riattualizzare e da rimettere in discussione, nelle sue forme, nella sua organizzazione e nelle sue pratiche, credo ancora nel partito gramsciano e credo nella necessità di ricostruire una sinistra allo stesso tempo politica e sociale e culturale che abbia l'ambizione di essere oggi anche un "intellettuale collettivo", ovvero di ricostruire una coscienza civile, un senso comune opposto a quello dell'egemonia culturale delle destre. Ecco dunque la necessità di ricongiungere, riannodare e stringere il nodo fra campo sociale e forza politica dentro un nuovo spazio pubblico. Un compito ambizioso e necessario, a cui corrisponde a mio parere il processo costituente per la ricostruzione di una soggettività di massa della sinistra.
Ho letto recentemente sui quotidiani, che a proposito della proposta politica della mozione 1, il compagno Paolo Ferrero, avanza un punto fondamentale di analisi sulla sconfitta: abbiamo perso a causa del governo Prodi, dobbiamo ritornare nella società e fare come la chiesa e l'esercito. Come modelli ispiratori di questa sua tesi, Ferrero parla dell'utilità sociale degli oratori e delle mense della Caritas, ricordando che in Olanda il partito del pomodoro le ha fatte, e che anche noi dovremmo cominciare. Un assaggio dell'ossatura strategica del partito sociale. Ho cominciato a riflettere sul significato e sul profilo di questa visione e non sono d'accordo almeno per due ragioni. 1) Chiesa ed esercito? Premetto che considero il ruolo di tanto associazionismo cattolico e laico, straordinario, da lì provengo, e ho piena ammirazione di quanti si impegnano in questo spesso indispensabile lavoro, che colma l'assenza di politiche sociali pubbliche, spesso integrandole egregiamente a fronte dei progressivi tagli al welfare. Ma non è di questo che qui si tratta. Piuttosto del fatto che pensando alla sinistra da ricostruire, alla sua tradizione, alla sua storia, al movimento operaio, alle culture critiche di oggi, alla necessità di ricostruire una soggettività anticapitalista che non separi diritti sociali da quelli civili, non vorrei essere né come la chiesa degli oratori, né come l'esercito della ricostruzione. Innanzitutto, una premessa. Crediamo davvero che pur avendo subito una sconfitta storica col referendum sul divorzio e sull'aborto, la chiesa abbia risalito la china grazie agli oratori, e non invece grazie in virtù di una politica sempre più in crisi, sempre più separata dai soggetti sociali, sempre più supina agli interessi delle gerarchie vaticane e dei poteri forti, e affascinata dalla caccia al voto cattolico fino alle derive centriste che dalla Bolognina ad oggi hanno segnato la storia di ciò che fu il più grande partito della sinistra italiana? Voglio dire, la fine della Dc come grande partito dei cattolici ha rappresentato anche l'avvio di una vera e propria diaspora dei cattolici in politica, con la scomparsa di un partito di mediazione, di sintesi a cui interessava innanzitutto la gestione del potere. Quando nel 2000 si svolge il World Gay Pride a Roma, i movimenti riescono a vincere malgrado la forte campagna di opposizione alla manifestazione del Vaticano e delle parrocchie. Vi ricordate che grande manifestazione di popolo? E' stato l'avvio di una stagione importante di movimento in cui la sinistra radicale e con essa i movimenti, con una iniziativa politica diffusa nel paese (che ha agito anche dentro le istituzioni, le amministrazioni comunali, il parlamento) con l'enorme appoggio dei mass media, sono riusciti a creare senso comune nel paese. Era la politica ad essere più indietro allora del paese. Oggi rischiamo che questo quadro si rovesci, e gli oratori hanno alle spalle una grande organizzazione di massa, forse la più grande e potente che esista, appunto la Chiesa Cattolica, che costruisce egemonia culturale e si impone in Parlamento. Fino a quando non si ricostruirà una grande sinistra, un progetto politico di massa, credo che non ne usciremo. Per uscire dalla sconfitta non possiamo limitarci ad un intervento sociale (se non di volontariato nobile e prezioso) ma scisso dalla dimensione politica, (che è esattamente il processo di americanizzazione della politica). Credo che al contrario sia necessario porsi il problema della ricostruzione di un progetto politico e culturale della sinistra di alternativa, in grado di dispiegare un'idea complessiva di società diversa, senza la quale temo che l'egemonia culturale delle destre avrà ancora lunga vita in Italia e in Europa. 2) Poi c'è un'altra ragione che attiene alla cultura politica, che per me non è separata dalla linea, dalla strategia. Abbiamo impiegato decine e decine di anni, per decostruire la mistica umanitaria della chiesa e dell'esercito, (che negli ultimi 15 anni ha spesso coperto le peggiori nefandezze compiute in giro per il mondo, come la guerra nei Balcani) proprio grazie ai movimenti, quello pacifista, quello delle donne, quello GLBTQ, svelandone in realtà l'aspetto prevalente, cioè quello d'ordine e di oppressione, non possiamo sforzarci di immaginare altro? Se non siamo stati disertori, siamo stati obiettori di coscienza! L'esercito fra l'altro oggi si ri-presenta nella peggiore torsione autoritaria e repressiva che lo vede funzionale al restringimento dei diritti e degli spazi di democrazia, vedi nuove leggi sull'immigrazione. Allo stesso tempo, non credo che il sacrosanto "fare società" possa fare a meno della dimensione politica, cioè delle irruzione delle soggettività sociali nella politica e non del suo opposto. Ogni volta che questo paese ha subito dei traumi profondi, c'è stata una sollevazione di popolo gigantesca, civile e democratica, spinta dalle grandi e tradizionali forme di organizzazione politica di massa, (penso al Pci e al sindacato, ma anche alla spinta ideale del '68). E' stato così ad esempio per l'alluvione di Firenze del '66, in cui migliaia di giovani da tutta Italia accorsero nelle forme anche più spontanee per mettere in salvo il patrimonio culturale del paese, ma anche per annunciare un nuovo protagonismo politico di quella generazione. Così fu nel Belice, dopo il terribile terremoto del '69 che segna ancora quella terra. Quella risposta sociale, civile fu possibile perché quella generazione si tuffava nella politica, non si rifugiava nel sociale, ma lo permeava nella dimensione politica. La società irrompeva nella politica, non il suo contrario. Come allora, oggi, io penso che questo sia il processo che bisogna tentare di ricostruire. La domanda di un progetto politico e sociale di cambiamento, di radicale trasformazione. Quando andavo all'Università, negli anni delle stragi di mafia in Sicilia, ho fatto volontariato sociale nei quartieri di Palermo. Ho fatto questo lavoro con l'Arci, l'ho fatto anche aiutando quei sacerdoti impegnati nell'antimafia sociale. Ogni volta che ammazzavano un magistrato, un giudice, un poliziotto, quel lavoro diventava più fragile e solitario, i bambini ai quali facevo doposcuola cominciavano ad assentarsi, le famiglie gli impedivano di rivolgersi a noi. La realtà crudele di quella solitudine sociale irrompeva e travolgeva ogni volta il nostro lavoro. Si doveva ricominciare da capo. Proprio perché ammiro e ritengo indispensabile quell' impegno sociale, so anche che senza il nesso con un progetto politico generale di trasformazione, quel lavoro resta piantato esclusivamente nella sua dimensione sociale, ed è più solo, più fragile. Non si fa società. Non crea senso comune. Nella situazione in cui siamo, anche lo spazio del radicalismo sociale oggi ha il problema di non essere espulso dalla dimensione politica, di affermare la propria soggettività e di unificare la capacità di produrre egemonia culturale e trasformazione. Per reimmergersi nella società, ricostruire un'utilità sociale della sinistra non basta organizzare mense per gli immigrati o i disoccupati, che altri fra l'altro fanno già benissimo, serve forse ricostruire con chi le fa e con chi ci va un progetto comune. Ha ragione Tronti: il sociale non va descritto, va ricostruito da una capacità di inchiesta nei territori, dei soggetti sociali "che si costituisce come nuova progettualità politica". Per quanto in crisi, da riattualizzare e da rimettere in discussione, nelle sue forme, nella sua organizzazione e nelle sue pratiche, credo ancora nel partito gramsciano e credo nella necessità di ricostruire una sinistra allo stesso tempo politica e sociale e culturale che abbia l'ambizione di essere oggi anche un "intellettuale collettivo", ovvero di ricostruire una coscienza civile, un senso comune opposto a quello dell'egemonia culturale delle destre. Ecco dunque la necessità di ricongiungere, riannodare e stringere il nodo fra campo sociale e forza politica dentro un nuovo spazio pubblico. Un compito ambizioso e necessario, a cui corrisponde a mio parere il processo costituente per la ricostruzione di una soggettività di massa della sinistra.
2 commenti:
Scusate se utilizzo questo spazio ( il mio commento è sicuramente off-topic ).
Credo dobbiate aggiornare l'elenco delle adesioni alla vostra mozione visto che Mataluna è passato nel Pd.
A meno che non vogliate raggiungerlo...
caro anonimo,
spero e sono sicuro che neanche il mio commento sia off - topic...
INNANZITUTTO GRAZIE PER IL suggerimento. Noto con piacere che accompagni la trasparenza di non firmarti con la peculiarità di una costante e attenta lettura della nostra "alta" stampa locale.
Voglio rassicurarti: quando il passaggio sarà ufficializzato chiederò anch'io che sia aggiornata la lista di adesioni...detto ciò credo però due parole vadano spese, visto che nel nostro partito, non so se hai avuto modo di frequentarlo in qualche modo, soprattutto in fase congressule si può dire tutto e il contrario di tutto...
ricordo che l'entrata nel nostro partito del compagno in questione fu stata salutata con favore e convinzione un pò da tutto l'allora gruppo dirigente, in particolare da coloro che per appartenenza territoriale ne avevano conoscenza diretta... felice intuizione, insomma, grazie alla quale, fra l'altro, il partito tutto ha beneficiato, in un collegio elettorale in particolare, di un "non trascurabile" 17 per cento alle ultime provinciali (una delle più alte percentuali in italia per noi). Tutti contenti insomma fino ad allora. Poi il divorzio, lento, inesorabile, passato x vicende "locali" che hanno tenuto impegnato tutto il partito provinciale a discutere per mesi, vicende che hanno trascinato per mesi tutto il partito sui giornali fra scambi d'accuse diretti o indiretti, che certo non ci hanno fatto guadagnare in visibilità, vicende nelle quali forse "qualcuno" avrebbe potuto e dovuto cercare di apparire un pò più al di sopra delle parti, meno calato nella dimensione locale del contendere; "qualcun altro", forse, avrebbe potuto evitare di strumentalizzare la già penosa situazione per guerre interne, queste si provinciali e non locali, sempre sotterraneamente combattute ma mai pubblicamente enunciate (che tra l'altro continuano)...
caro anonimo, capisco la leggerezza ed ironia con cui scrivi di aggiornare semplicemente la lista di adesioni...spero però che alcuni fra quei "qualcuno", siano meno leggeri nel salutare il compagno in questione, conservino almeno l'intelligenza del dubbio e si chiedano, come avviene nella fase di maturità di qualsiasi divorzio consumatosi: "AVRò SBAGLIATO QUALCOSA?"... sai, caro anonimo...a volte a furia di ironia, si finisce per ridere, senza accorgersi che attorno non è rimasto più nessuno...pensa che fra noi c'è perfino tanti credono perfino che "meno siamo meglio è" sia una cosa buona, rassicurante...
a presto
Posta un commento