di Giusto Catania*

Stupisce molto leggere dell'improvviso innamoramento, da parte di alcuni compagni, per il Partito del pomodoro, cioè il Partito socialista olandese.
Ho grande difficoltà a comprendere l'affinità politico-culturale tra tale organizzazione e ciò che ci viene proposto dai compagni Fererro e Grassi nel loro documento congressuale.
Il Partito socialista olandese nasce nel 1971 sulla scorta delle contestazioni giovanili della fine degli anni sessanta e, ispirandosi alla tradizione maoista, si chiama inizialmente Partito Comunista Olandese/Marxista Leninista.
Un anno dopo sceglie di chiamarsi definitivamente Partito Socialista, abbandonando lentamente la tradizione comunista dai suoi riferimenti ideologici e scegliendo come simbolo il pomodoro. Né falce, né martello, né altre simbologie riconducibili al mondo del lavoro.
Il pomodoro era l'emblema della contestazione giovanile perché era l'ortaggio lanciato, durante le manifestazioni di protesta, contro il potere costituito, la borghesia capitalistica e la polizia.
Per tanti anni è stata un'organizzazione residuale nella politica olandese fino a quando nel 1994, per la prima volta, riesce ad entrare in Parlamento. Da lì è cominciata una progressiva crescita che, in poco più di dieci anni, lo ha trasformato nel terzo partito dei Paesi Bassi.
Per questa ragione, certamente, vanno riconosciuti meriti straordinari ai compagni olandesi. Sono diventati protagonisti della vita politica del Paese e la loro ricerca culturale, il loro modello organizzativo, le scelte politiche consumate in questi anni sono certamente incompatibili con la proposta politica avanzata nella mozione congressuale "Rifondazione in movimento."
In questi ultimi anni, il Partito socialista olandese ha scelto di costruire un'organizzazione plurale, in cui le culture politiche si potessero contaminare o vivere come opzioni culturali distinte dentro lo stesso corpo organizzato. Nel loro statuto si auto-definiscono "democratici e socialisti" e il comunismo, per loro, è assolutamente una tendenza culturale i cui elementi scientifici di analisi della società sono reperibili esclusivamente come patrimonio del dibattito interno.
Sono certamente di sinistra, di sinistra radicale e libertaria. Ma non comunisti. In molte analisi e battaglie sono affini a noi: la critica alla globalizzazione, l'analisi delle nuove contraddizioni, la difesa dell'ambiente, le sovrapposizioni tra le vecchie e nuove contraddizioni, affiancando alla classica contrapposizione capitale/lavoro la difesa dei diritti civili, le battaglie in difesa di migranti e omosessuali.
Sono tuttavia nazionalisti ed euroscettici, non aderiscono al Partito della Sinistra Europea e la loro giusta critica all'Europa dei mercati è viziata da forme di esaltazione identitarie locali che li ha indotti ad appoggiare l'auto-dichiarazione d'indipendenza del Kosovo.
Sono riusciti a costruire un partito radicato nella società (circa 45.000 iscritti) e nelle vertenze sociali, infiltrando militanti del Partito nelle organizzazioni di massa, nel sindacato e vivendo la loro attività come cinghia di trasmissione col Partito che, in questo modo, ha vissuto la sua attività politica in connessione con le lotte sociali, spesso lasciando prevalere l'autonomia del sociale alle scelte politiche. Hanno costruito pratiche di lotta e di disobbedienza civile molto interessanti che, da Seattle a Genova, sono state presenti nel nostro dibattito teorico e nella nostra iniziativa diffusa.
Molti osservatori olandesi ed internazionali ritengono che una delle cause importanti della crescita del Partito Socialista olandese è da ricercare nelle straordinarie doti carismatiche e di comunicazione del suo leader indiscusso. Non è un caso che, per questa ragione, la stampa e gli analisti olandesi spesso hanno accostato Jan Marijnissen a Fausto Bertinotti.
Marijnissen è contemporaneamente capo del Partito da quattordici anni, capogruppo alla Camera, faccia televisiva del partito e l'uomo che dice sempre l'ultima parola su tutte le decisioni.
Il modello organizzativo del Partito Socialista olandese è esageratamente verticistico, il ruolo di Marijnissen è predominante su tutto il resto del gruppo dirigente, negli organi di stampa olandesi il Partito del pomodoro è comunemente chiamato "il Partito di Marijnissen."
Sulla base di queste ulteriori considerazioni mi sembrano ancor più strumentali le critiche avanzate da Ferrero e Grassi al tentativo che sta facendo una parte del nostro Partito di ricercare una figura carismatica e comunicativa, come Nichi Vendola, per ricostruire un nuovo ruolo di Rifondazione Comunista nella società e nell'agone politico.
Sulla base di tali considerazioni non riesco a comprendere il tentativo di questi compagni di identificarsi col modello olandese.
Non posso credere che l'unica questione che appassiona i compagni della prima mozione, e che giustifichi la nuova e improvvisa passione, sia il fatto che i parlamentari del Partito Socialista Olandese guadagnino duemila euro al mese e il resto lo devolvono al Partito.
Mi pare un argomento strumentale che agita un pezzo dell'antipolitica, che evidentemente ha pervaso anche noi. Inoltre, in questa fase, mi pare un argomento fuori luogo visto che non abbiamo più rappresentanza in Parlamento e infine mi sembra ingiusto omettere che il regolamento di Rifondazione Comunista non si discosta molto da tale pratica, considerato che i nostri parlamentari versano il 60% della loro retribuzione complessiva al Partito.
E se l'affinità coi compagni del Partito del pomodoro fosse solo una questione di propaganda interna esclusivamente per strappare qualche voto nei congressi di circolo…

*Eurodeputato del Prc