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"Non voglio restare impermeabile, voglio imparare, perchè, come diceva Pasolini, la partenza è il dolore del parto, ma anche la gioia della nascita. Siamo tutti chiamati a partire, del resto siamo un partito non un restato"

Nichi Vendola, Venezia 2005

http://www.nichivendola.it/

NASCE IN TERRA DI LAVORO "RIFONDAZIONE PER LA SINISTRA"


Giovedì 31 Luglio ore 11.30
presso la Federazione PRC di Caserta

CONFERENZA STAMPA

interverrà il Compagno Peppe De Cristoforo

martedì 17 giugno 2008

La sinistra che verrà

La sinistra che verrà

di Nichi Vendola

C'è chi, come Rossana Rossanda, ha definito la nostra mozione come "la più aperta e problematica" tra quelle che verranno presentate e discusse al congresso.
C'è chi, viceversa, non ha mancato di accusarci di moderatismo, di tradimento della tradizione, di occultamento strumentale di simboli e bandiere, di efferato omicidio simbolico perpetrato contro i nostri padri e le nostre madri.
Liquidare queste posizioni come due "semplici" punti di vista contrapposti sarebbe un errore. Così come sarebbe un errore confondere quella contrapposizione con ciò di cui, in realtà, è sintomo storico e manifesto: la contraddizione - tutta interna alla storia della sinistra e causa prima di molte sconfitte - tra coloro che al comunismo guardano come a una domanda che sempre va riformulata o come ad un cammino che mai ammette soste troppe prolungate e coloro che alle domande preferiscono le risposte. E all'andare e al tornare, incessante e faticoso, lo "stare".
Io non rinuncio a un cammino desiderante la cui unica meta è lo smascheramento di un capitalismo che quanto più ci si presenta come neutrale e naturale tanto più si fa pelle viva delle nostre anime e dei nostri corpi. Un capitalismo che non è solo la forma assunta dai rapporti di produzione ma linguaggio, cultura, senso comune. Un capitalismo che, meglio di noi, legge, interpreta e asseconda la realtà ridisegnandone a suo vantaggio geopolitica e alfabeto e che, a sua volta, la realtà produce.
Così il capitalismo occulta la sua stessa storicità e, con essa, quella di una realtà che – pur in continuo movimento - si fa materia fissa e immobile.
In quella realtà, al contrario, io voglio ritrovare la vita.
Voglio ritrovare gli uomini e le donne, gli antichi racconti e le nuove narrazioni, il perché di un dolore sociale sempre più diffuso e di una solitudine individuale che condanna all'inerzia tutti e tutte. O che, peggio, attacca il nemico che non c'è, incendia i campi rom, disprezza la differenza mentre appicca i roghi dell'indifferenza.
Combattere una cultura sempre più chiusa e identitaria vuol dire, oggi, combattere l'essenza stessa del capitalismo del XXI secolo, il cibo avariato di cui si nutre, la pelle aggrinzita di cui si riveste. Combattere quella cultura vuol dire stanare la realtà, farla parlare e insieme darle nuove parole perché "cose" nuove come la paura, l'insicurezza, la povertà, la precarietà hanno bisogno di nuove "parole".
E per stanare la realtà è necessario uscire dalle trincee e abbandonare tutte le postazioni che ci inchiodano sulla difensiva. Se la realtà si muove, come si muove, noi pure dobbiamo farlo.
Rispondere a quella cultura identitaria che fa la fortuna del capitalismo contemporaneo con altra cultura identitaria, con la chiusura nei recinti rassicuranti ma letali delle antiche certezze, sarebbe un suicidio.
Contrapporre all'io egoista del capitale un "noi" che pure chiude all'esterno equivarrebbe ad un'ennesima resa.
Oggi l'idea e il progetto di una Costituente della sinistra, lungi dall'essere l'incontro tra alcuni sparuti ceti politici, vogliono dire questo: l'apertura alle domande che la società, soprattutto le sue fasce più deboli e dolenti, ci pone; la ricerca da condursi insieme, passo dopo passo, con tutte e tutti quelli che non hanno accettato, non accettano e non accetteranno mai l'ineluttabilità di un dominio capitalista forse mai prima d'ora così feroce, arrogante, totalizzante ed ebbro delle sue stesse vittorie; l'avvio di un processo che non sarà breve né facile e il cui traguardo non è un nuovo partito ma la nascita di una nuova idea e di una nuova pratica di partito. Una pratica quanto più partecipata e democratica possibile, una pratica adeguata alle esigenze di un presente che ancora non abbiamo davvero imparato ad analizzare e a modificare.
E allora ben vengano anche simboli e bandiere, non meri feticci da esibire ma rammemorazioni che al passato conferiscano l'urgenza e l'unicità del presente. Di questo presente, del nostro presente. Questo significa essere una minoranza. Questo significa non essere minoritari.
Nichi Vendola

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