Ci sono momenti in cui essere partecipe delinea in concreto il confine anche personale fra teoria e prassi. Questo vale ancor di più nei momenti di difficoltà, quando subisci sconfitte drammatiche, quanto le ragione stesse della tua azione e del tuo impegno, vengono così duramente messe in discussione. Oggi la sinistra è in questa situazione, una sconfitta storica frutto di un risultato elettorale che ammette poche repliche ma che nel contempo richiede un'analisi attenta sulle ragioni, sul perché. Dunque ragionare sulle cause della sconfitta impone a tutti di misurarsi sull'impatto che processi di trasformazione capitalista hanno sul contesto sociale, sulla costruzione di diversi elementi valoriali che innescano nella società globale, da noi con i campi nomadi in fiamme come in Sudafrica con l'assalto alla comunità somala, pulsioni xenofobe e razziste. Certo ragionare su questo livello di analisi non necessariamente comporta arrivare alle stesse conclusioni anzi, si può riconoscere questi temi e arrivare a conclusioni opposte, ma certo di questa discussione non possiamo farne a meno. Siamo dunque di fronte ad una domanda che provo a sintetizzare in questo modo: la globalizzazione capitalista, con i suoi processi politici e sociali, determina oggi una cesura definitiva con la storia del movimento operaio, ne determina il rischio di una sconfitta definitiva e di conseguenza la fine stessa della sua ragione di esistere? O siamo invece di fronte ad un pesante arretramento dei rapporti di forza, anche drammatico, determinato certo dai processi di trasformazione capitalista, ma anche dalla nostra incapacità di dare risposte al succedersi dei mutamenti, una incapacità tutta nostra di aggiornamento di analisi, di contesto e dunque di pratica. Come rispondiamo a questo quesito determina nei fatti le scelte da assumere e praticare, sia nella sinistra politica sia nel sindacato, perché capisco bene che se si pensa di essere a rischio di una sconfitta definitiva della storia e della pratica della tradizione comunista e del movimento operaio, si sceglie di difendere quell'identità "costi quel che costi", si sceglie una via, per l'appunto identitaria, che prova a far sopravvivere quell'idea. Questo oggettivamente determina, aldilà persino delle esplicite volontà di chi la promuove, una logica di per se minoritaria, una via francese di uscita alla crisi della sinistra. Se invece si risponde riconoscendo che alla forza dei processi si è accompagnato un'incapacità nostra di leggerli, di analizzarli e, soprattutto, di produrre risposte all'altezza delle sfide e della forza che questi mettono in campo, se si sceglie questo, l'operazione da fare è assolutamente opposta all'idea identitaria. Personalmente sono assolutamente convinto di questa seconda ipotesi e questo richiede che, a fronte dello sfondamento nella società e anche in vasti strati popolari, di orientamenti caratterizzati dall'egemonia culturale che sono stati propedeutici ai processi economici e conseguentemente, al risultato elettorale, perché si vince sempre prima culturalmente e poi elettoralmente, si determini la possibilità della ricostruzione di un pensiero critico capace di competere proprio a partire dal punto di vista dell'egemonia culturale. Ricostruire le ragioni della sinistra, di una sua capacità politicamente "attrattiva" verso strati più deboli della società, culturalmente all'altezza del disagio che tanti cittadini provano al cospetto della politica, dunque risvegliare passioni, mettere in campo intelligenze, utilità della partecipazione e dell'idee, insomma in poche parole aprirsi invece che chiudersi. Per fare questo abbiamo bisogno esplicitamente di un processo costituente. A me pare che questo sia il tema del congresso del Partito della rifondazione Comunista, e su questo si misurano risposte e opzioni diverse. Ma questa discussione determinerà molto sulle prospettive della rinascita di una sinistra adeguata alle trasformazioni in atto e in quanto tale capace di opporvisi, e che proprio per far questo non sceglie ne scorciatoie ne tantomeno rassicuranti certezze perdute, ma inizi un processo lungo e complicato ma ineluttabile per chi non vuole subire passivamente la subalternità della politica ai processi liberisti oggi dominanti. Questo è il tema e proprio per questo motivo scelgo di essere liberamente e consapevolmente ad esso partecipe iscrivendomi al PRC, partecipando al Congresso e appoggiando con convinzione la Mozione del compagno Vendola.
*Segretario Generale Fiom-Cgil Toscana
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