Che il congresso nazionale di Rifondazione fosse un congresso difficile, difficilissimo, lo si sapeva fin dalla lontana (?) giornata del 14 aprile 2008, quando uscimmo dalle urne inchiodati al 3% e sbattuti fuori dal Parlamento. Così come si sapeva che le sconfitte elettorali, specie quelle sonanti, fanno male, rendono meno lucidi, eccitano, talora, il peggio di sé. E’ stato anche per queste ragioni oggettive, come si usava dire una volta, che il Congresso è cominciato all’insegna della divisione - con la rottura della vecchia maggioranza e la scomposizione in cinque mozioni, delle quali due più grandi e che aspirano alla maggioranza - ed è proseguito con un conflitto politico sempre più aspro, come questo giornale testimonia negli interventi, nelle lettere, nelle denunce, e così via. Si poteva sperare, nonostante tutto, che di fronte alla drammaticità della situazione sociale e politica e di fronte al compito prioritario di salvare Rifondazione comunista, di ridare un po’ di sangue e speranza alla sinistra, questo conflitto non degenerasse, fino a oltrepassare la soglia della solidarietà e dell’interesse comune. Questa era sicuramente la nostra speranza (e non solo nostra). Ora, però, sta accadendo qualcosa di davvero allarmante, qualcosa che - ci dicono i compagni di più antica militanza - in questo partito non è mai successo. Un congresso importante, a Reggio Calabria, a cui hanno partecipato e votato oltre trecento persone, è stato annullato. Un congresso di circolo, a Bologna, è stato minacciato di invalidamento. Una sequenza di ricorsi, ci dicono, sono pronti a invalidare questo o quel congresso di base - e qualcuno di essi, nientemeno, è stato inoltrato prima ancora che il congresso stesso si tenga. Tutto questo mentre è in atto - specie sui blog e su Internet - una campagna di vera e propria delegittimazione di tutti, o quasi, i congressi nei quali è risultata preponderante la posizione che fa riferimento a Nichi Vendola. Al centro di questo conflitto, così abbiamo capito, c’è un’accusa precisa e martellante: troppi nuovi iscritti, troppa partecipazione, il congresso esce “falsato” da questa dimensione di massa. Confessiamo che questa accusa ci ha fatto trasecolare. Ma come? Dopo una batosta come quella di aprile, qualcuno si permette il lusso di considerare l’afflusso di nuovi iscritti un danno, una “anomalia”, una iattura, invece che una bella notizia? In una situazione così critica, per tutta la sinistra, si usa il tempo del congresso non per approfondire l’analisi e la discussione sul “che fare”, non per costruire legami, per fare politica, avvire nuove battaglie, dialoghi, alleanze, ma addirittura, al contrario, per ostacolare, in tutti i modi possibili, il diritto di voto di compagni, magari giovani, che si avvicinano per la prima volta alla politica? Se è vero - come ci pare vero - che il regolamento “regolarmente” votato, consente ai nuovi iscritti (a coloro che hanno preso la tessera del Prc almeno dieci giorni prima del congresso del loro circolo), di prender parte al voto, la contestazione potrebbe riguardare un’unica ipotesi: che questi nuovi iscritti siano “finti” o, peggio, siano manovalanza assoldata in una qualche oscura piega della società (o della criminalità). Davvero siamo a questo? Se siamo a questo forse possiamo mettere nel cassetto tutte le nostre speranze di ripresa. Arrenderci. Ma per fortuna non abbiamo sentito formulare da nessuno questo specifico tipo di accusa. Meno male.
Allora, di che si tratta? Cosa sta succedendo? Noi temiamo che si tratti di un problema politico e poi di un problema di cultura politica. Da un lato, la voglia di vincere il congresso, comunque, perché si è convinti di avere ragione, perché si pensa che sia meglio così per tutti. E di conseguenza ogni mezzo diventa buono, se è utile a impedire all’altro di vincere. Il fine giustifica i mezzi. Dall’altro lato, si manifesta un’idea di partito “avanguardistico”, minoritario, molto ideologico, in virtù del quale non hanno titolo a partecipare se non coloro che hanno alle spalle una militanza provata e di lungo corso. Il contrario di quello che la fase storica domanda con drammatica urgenza: che è la necessità di aprire porte e finestre, di smetterla con le “purezze” ideologiche o le analisi del sangue, di riavviare un cammino di rifondazione non solo di questo partito, ma della politica. E di mandare in pensione, al più presto, sia la logica delle correnti organizzate sia la pulsione di autoconservazione del ceto politico. Per il quale, un piccolo partito purchessia diventa una “droga”, uno strumento di pura sopravvivenza. Noi, perciò, come giornale che rispetta tutte le posizioni in campo, non possiamo in questa circostanza esimerci dal prendere posizione. La si smetta con gli annullamenti, i ricorsi, i boicottaggi. Il congresso deve continuare a svolgersi nell’unica modalità democratica che conosciamo: vince la posizione politica di chi prende più voti e più consensi. Se avverrà questo, sarà un bene per tutti noi - non solo per i “vincitori”, ma per la sinistra italiana. Forse, siamo ancora in tempo per fare un Congresso vero, di discussione, di analisi, di rilancio della battaglia politica; e per non trasformare l’appuntamento di Chianciano in una conta del massacro.
da Liberazione del 4 luglio.
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