da Il Manifesto 16 Maggio 2008
Siamo ancora frastornati e confusi. Con una accelerazione violenta e persino drammatica l'Italia, dopo un quindicennio di turbolenta transizione, si è risvegliata a destra, anzi «di destra». I suoi umori, le sue culture, la sua figurazione del mappamondo della globalizzazione, il ribollente magma di sogni e di paure che abitano l'immaginario collettivo, insomma proprio tutto è parso scomporsi e ricomporsi dentro la narrazione di una nuova specie di radicalismo ideologico.
La destra ha parlato una lingua non solo chiara ma anche «adesiva», mimetica, capace di dare identità a corpi sociali drammaticamente frammentati e assai spaventati. Il fantasma della «casta» ha movimentato la discussione pubblica, liberando frustrazioni e risentimenti, moltiplicando cinismo e disgusto, catalizzando un odio figlio dello smarrimento, del senso di precarietà, del corto-circuito tra consumismo totalitario e crisi economica incombente.
E se, negli anni '70, la metafora pasoliniana del «Palazzo» alludeva a un potere omertoso e colluso, nei cui sottoscala si incrociavano cospiratori di varia natura, ma nei cui piani nobili andava in scena la rete anche illecita di scambi tra politica e economia (quella che Eugenio Scalfari denominò «razza padrona»), oggi la «casta» appare metafora assai più livorosa ma del tutto inerte: come una pietra scagliata contro un ceto politico esposto a quella delegittimazione che non scalfisce nessuno degli altri poteri. Infatti il sistema d'impresa, il circuito dei mass-media, la gerarchia ecclesiastica, gli apparati giudiziari, le corporazioni più varie, nessuno di questi attori protagonisti della vita sociale ha conosciuto la gogna a cui è stata esposta la politica.
La comunità virtuale e la piazza reale di Beppe Grillo hanno poi rotto gli argini «di sinistra» al dilagare della semplificazione qualunquista, dell'esercizio della parola come corpo contundente, della predicazione urlata e solitaria che surroga la fatica corale del pensiero e dell'azione. La contesa politica, a dispetto della sua torsione bipolare, ha smesso di essere contrapposizione insieme simbolica e materiale di progetti di società, e si è progressivamente ridotta al rango di talk-show. Da destra e da sinistra è stata scorticata viva la differenza tra destra e sinistra. E per la destra la morte della politica non è una eutanasia, ma una formidabile resurrezione in forme nuove: come pelle di un corporeità sociale che non deve più indossare gli abiti dell'incivilimento e della convivenza, come vitalismo immediato del turbo-capitalismo del nordest mescolato al brusio popolare di ogni periferia, come rancore anti-fiscale che unisce proprietari e proletari. E dunque la destra e la sua lingua hanno aderito elasticamente al basso ventre della nostra società: e le elezioni hanno rappresentato il grande e disinibito ritorno dell'ideologia, della politica «forte», delle identità viscerali; solo il Partito democratico ha rimestato tra gli avanzi di un pragmatismo incolore, chiamando riformismo un intero repertorio di subalternità all'agenda della destra (dalla sicurezza alla flessibilità).
La sinistra moderata dapprima ha liquidato la lotta di classe come un residuo ideologico, conseguentemente ha derubricato il conflitto sociale a caos e violenza, poi ha messo in una campana di vetro la memoria storica delle lotte, poi s'è pure smarrita l'orientamento sessuale, infine si è suicidata nel nome della reincarnazione governista. Il passaggio, nelle figure di riferimento, dal lavoratore al cittadino al consumatore, è stato fatale, ha aperto la diga e la destra ci ha alluvionati. La letteratura frizzantina di Veltroni, nonostante la sapienza del marketing, non buca il cuore dei «popoli italiani» (tribù, lobbies, corporazioni) e rimbalza sulle barriere architettoniche della grande Periferia urbana e sociale in cui abita lo sgomento dei non garantiti e la paura del ceto medio terremotato. Che schianto! E noi, quelli che alle ragioni sociali e ideali della sinistra hanno dedicato tutta la vita, noi abbiamo solo intuito, ma non capito. Oscuri presagi con qualche affanno analitico. Forse l'arcobaleno è stata la gaffe di chi presentiva il diluvio universale. E ora ci tocca nuovamente attraversare il deserto, risalire la china, dare coraggio a quelli e quelle che vogliono reagire, prenderci cura gli uni degli altri, riaprire quei cantieri dell'innovazione che sono indispensabili per restituire fascino, credibilità, efficacia politica e radicamento sociale alla sinistra di alternativa.
Personalmente sono molto spaventato: ma non disperato. Ho imparato proprio da il manifesto, dai pensieri lunghi e difficili e necessariamente aspri di Rossana Rossanda, quanto sia importante darsi luoghi e tempi di riflessione collettiva sul «Che fare?»: il congresso di Rifondazione non può essere una liturgia chiusa, un problema dei militanti e dirigenti di quel partito, e soprattutto non può essere una grottesca resa dei conti tra quelle vecchie appartenenze che risvegliano le loro cellule tenute in sonno. Salvare Rifondazione per ricostruire la sinistra, ecco una discussione da fare all'aperto, con tanti e tante anche fuori da noi.
La sinistra, benché battuta e dispersa, è molto più lunga e più larga di quanto non siano le sigle di chi prova a rappresentarla politicamente. Oggi abbiamo bisogno di ascoltare le voci di dentro ma anche le voci di fuori. Se il mio partito si chiuderà a riccio, saziandosi delle proprie conte interne, predisponendosi al galleggiamento e alla sopravvivenza, allora avremo davvero interiorizzato fino in fondo la sconfitta. Restaurare il passato è un modo di arrendersi al presente e di rinunciare al futuro. La sinistra non credo abbia bisogno di un altro suicidio.
Siamo ancora frastornati e confusi. Con una accelerazione violenta e persino drammatica l'Italia, dopo un quindicennio di turbolenta transizione, si è risvegliata a destra, anzi «di destra». I suoi umori, le sue culture, la sua figurazione del mappamondo della globalizzazione, il ribollente magma di sogni e di paure che abitano l'immaginario collettivo, insomma proprio tutto è parso scomporsi e ricomporsi dentro la narrazione di una nuova specie di radicalismo ideologico.
La destra ha parlato una lingua non solo chiara ma anche «adesiva», mimetica, capace di dare identità a corpi sociali drammaticamente frammentati e assai spaventati. Il fantasma della «casta» ha movimentato la discussione pubblica, liberando frustrazioni e risentimenti, moltiplicando cinismo e disgusto, catalizzando un odio figlio dello smarrimento, del senso di precarietà, del corto-circuito tra consumismo totalitario e crisi economica incombente.
E se, negli anni '70, la metafora pasoliniana del «Palazzo» alludeva a un potere omertoso e colluso, nei cui sottoscala si incrociavano cospiratori di varia natura, ma nei cui piani nobili andava in scena la rete anche illecita di scambi tra politica e economia (quella che Eugenio Scalfari denominò «razza padrona»), oggi la «casta» appare metafora assai più livorosa ma del tutto inerte: come una pietra scagliata contro un ceto politico esposto a quella delegittimazione che non scalfisce nessuno degli altri poteri. Infatti il sistema d'impresa, il circuito dei mass-media, la gerarchia ecclesiastica, gli apparati giudiziari, le corporazioni più varie, nessuno di questi attori protagonisti della vita sociale ha conosciuto la gogna a cui è stata esposta la politica.
La comunità virtuale e la piazza reale di Beppe Grillo hanno poi rotto gli argini «di sinistra» al dilagare della semplificazione qualunquista, dell'esercizio della parola come corpo contundente, della predicazione urlata e solitaria che surroga la fatica corale del pensiero e dell'azione. La contesa politica, a dispetto della sua torsione bipolare, ha smesso di essere contrapposizione insieme simbolica e materiale di progetti di società, e si è progressivamente ridotta al rango di talk-show. Da destra e da sinistra è stata scorticata viva la differenza tra destra e sinistra. E per la destra la morte della politica non è una eutanasia, ma una formidabile resurrezione in forme nuove: come pelle di un corporeità sociale che non deve più indossare gli abiti dell'incivilimento e della convivenza, come vitalismo immediato del turbo-capitalismo del nordest mescolato al brusio popolare di ogni periferia, come rancore anti-fiscale che unisce proprietari e proletari. E dunque la destra e la sua lingua hanno aderito elasticamente al basso ventre della nostra società: e le elezioni hanno rappresentato il grande e disinibito ritorno dell'ideologia, della politica «forte», delle identità viscerali; solo il Partito democratico ha rimestato tra gli avanzi di un pragmatismo incolore, chiamando riformismo un intero repertorio di subalternità all'agenda della destra (dalla sicurezza alla flessibilità).
La sinistra moderata dapprima ha liquidato la lotta di classe come un residuo ideologico, conseguentemente ha derubricato il conflitto sociale a caos e violenza, poi ha messo in una campana di vetro la memoria storica delle lotte, poi s'è pure smarrita l'orientamento sessuale, infine si è suicidata nel nome della reincarnazione governista. Il passaggio, nelle figure di riferimento, dal lavoratore al cittadino al consumatore, è stato fatale, ha aperto la diga e la destra ci ha alluvionati. La letteratura frizzantina di Veltroni, nonostante la sapienza del marketing, non buca il cuore dei «popoli italiani» (tribù, lobbies, corporazioni) e rimbalza sulle barriere architettoniche della grande Periferia urbana e sociale in cui abita lo sgomento dei non garantiti e la paura del ceto medio terremotato. Che schianto! E noi, quelli che alle ragioni sociali e ideali della sinistra hanno dedicato tutta la vita, noi abbiamo solo intuito, ma non capito. Oscuri presagi con qualche affanno analitico. Forse l'arcobaleno è stata la gaffe di chi presentiva il diluvio universale. E ora ci tocca nuovamente attraversare il deserto, risalire la china, dare coraggio a quelli e quelle che vogliono reagire, prenderci cura gli uni degli altri, riaprire quei cantieri dell'innovazione che sono indispensabili per restituire fascino, credibilità, efficacia politica e radicamento sociale alla sinistra di alternativa.
Personalmente sono molto spaventato: ma non disperato. Ho imparato proprio da il manifesto, dai pensieri lunghi e difficili e necessariamente aspri di Rossana Rossanda, quanto sia importante darsi luoghi e tempi di riflessione collettiva sul «Che fare?»: il congresso di Rifondazione non può essere una liturgia chiusa, un problema dei militanti e dirigenti di quel partito, e soprattutto non può essere una grottesca resa dei conti tra quelle vecchie appartenenze che risvegliano le loro cellule tenute in sonno. Salvare Rifondazione per ricostruire la sinistra, ecco una discussione da fare all'aperto, con tanti e tante anche fuori da noi.
La sinistra, benché battuta e dispersa, è molto più lunga e più larga di quanto non siano le sigle di chi prova a rappresentarla politicamente. Oggi abbiamo bisogno di ascoltare le voci di dentro ma anche le voci di fuori. Se il mio partito si chiuderà a riccio, saziandosi delle proprie conte interne, predisponendosi al galleggiamento e alla sopravvivenza, allora avremo davvero interiorizzato fino in fondo la sconfitta. Restaurare il passato è un modo di arrendersi al presente e di rinunciare al futuro. La sinistra non credo abbia bisogno di un altro suicidio.
1 commento:
Non è che abbia scelto Niki Vendola come lo “sparring partner” del supposto incontro sul futuro di rifondazione, tuttavia l’intervento di stamani sul Manifesto del “governatore” non aiuta a chiarire, almeno a me, il che fare ? Certo ognuno scrive come sa, ma in politica specialmente quando si affrontano temi e problemi dell’importanza come quelli sul tappeto oggi e cioè della ri/costruzione di rifondazione innanzitutto, ma soprattutto del movimento comunista in generale, s’imporrebbe da parte di chi li affronta perlomeno un bagno di umiltà teso a rendersi conto innanzitutto che il lettore, talvolta anche malcapitato, debba per prima cosa capire quello che si dice o si racconta.
C’è invece una sorta di aureola di narcisismo, che avvolge l’esponente politico, tale che il contenuto del suo intervento sembra che preliminarmente debba appagare se stesso, poi quel che resta è affidato al militante, al lettore, al curioso. Insomma ritengo che un dirigente politico comunista in via principale abbia come scopo dei suoi interventi quello di costruire consenso. E ciò credo possa avvenire, rispetto a rifondazione, attraverso una possibile analisi di quello che è accaduto, cioè indagando a fondo per capire quali siano stati i motivi della disfatta, il perché della abiura di migliaia e migliaia di uomini e donne che fino a due anni fa avevano seguito rifondazione, Il perchè dell’esodo di massa, dell’astensione, del rancore talvolta sordo, della rivolta contro rifondazione. Tutto questo non c’è o meglio è accennato quasi a salvarsi l’anima. Quando si citano Grillo e “la Casta” lo si fa per riproporre il qualunquismo, senza pensare che le cose dette dal comico genovese o scritte da Stella e Izzo, ma ancor prima da Salvi e Vitrone sono il risultato della stagione “di mani pulite”, la quale era stata affidata in buona parte alla sx affinché procedesse all’apertura della stagione della pulizia e non la chiudesse invece con i compromessi conosciuti, a cominciare dall’indulto esteso ai reati contro la pubblica amministrazione. Il qualunquismo di Gianninni dell’immediato dopoguerra fu anch’esso il risultato di uno scollamento sul quale soffiò la destra di allora, con la differenza che lo sviluppo economico conseguente alla cd ricostruzione consentì da una parte alla DC di saldarsi agli interessi interclassisti degli industriali del Nord e al Sud da quelli irreggimentati dalla coldiretti di Bonomi e dall’altra al Pci di proporsi come soggetto moralizzatore della società e di emancipazione della classe operaia e dei braccianti. Oggi invece se Berlusconi viene colto a rubare, nessuno ormai se ne scandalizza, ma se viene scoperto che il lestofante è uno che predica la moralità o che pur sapendo non interviene….. (leggi il sostegno a Bassolino) il danno è enorme: non si crede più a niente. Se Niki si fosse soffermato a leggere l’inchiesta sulla droga in fabbrica, che sta conducendo Loris Campetti sul Manifesto e dalla quale l’altro ieri si apprende che alla Sevel di Val di Sangro in Abruzzo così come a Melfi nell’articolo di oggi quasi il 50% delle operaie e degli operai è attratto dalla cocaina, penso che avrebbe detto perlomeno qualcosa in più o quanto meno avrebbe espresso più preoccupazione. L’antipolitica di cui si discute non è solo antipolitica, ma è tante altre cose come appunto la diffusione di massa delle droghe – chi ricorda più i campus universitari americani, la contestazione alla guerra in Vietnam e la sconfitta di quelle ipotesi politiche avvenute appunto con la droga - ; è dalla normalità che è assurta la prostituzione specialmente quando è ben pagata – v. la corsa a far le veline; girano fotografie osè della ministra Carfagna, la quale mò ce vò se fatta da sé –E’ sbagliato dire che la cd antiideologia è il risultato di una battaglia vinta da un’altra ideologia ? Io per esempio dico di No. Ricominciare daccapo certo e l’avversario te ne da anche il destro come l’ipotesi Lombardia di Bossi, che chiede la restituzione dell’80% dell’Iva pagata dai “lumbard”, la chiamata diretta dei professori affidata ai presidi com’è nelle intenzioni del neoministro della pubblica istruzione, ma anche il ponte sullo stretto, ma anche i termovalorizzatori in tutta la Campania, ma anche il nuovo assetto contrattuale di Cgil-Cisl-Uil-Ugl, ma anche la divisione tra lavoro pubblico e privato a cominciare dalla esclusione dalla defiscalizzazione degli straordinari nel Pubblico impiego.
Aggiungo una mia convinzione. L’inizio del distacco fu la scelta delle primarie e la liturgia salvifica affidata ad essa. Rifondazione in quella “svolta” propose e perseguì il cambiamento ossia l’omologazione alla normalità borghese.
E non è finita: quali saranno i risultati alle prossime elezioni regionali ? Il tempo con i tuoni che rimbombano da tutte le parti non volge al bello.
Naturalmente è possibile che possa sbagliare.
Un saluto.
LaPrimulaRossa
Posta un commento