di Nichi Vendola
Il fuoco è tornato. Violento e purificatore. Illumina la processione nottambula dei rancori e dei pregiudizi. Incenerisce la retorica degli "italiani, brava gente". Divampa nella neo-lingua italiana, ormai libera da ogni forma di sorveglianza e di auto-controllo, visto che il nuovo lessico del trash televisivo unifica la nazione e le classi sociali. Sputa le sue lingue incandescenti sull'uomo nero e sulla sua intera etnia: rom, rumeni, sinti, tutti assunti a fattispecie lombrosiana di quella antropologia criminale con la quale abbiamo inzuppato immaginario e senso comune. Ecco dunque il fuoco che condanna all'esorcismo e alla cenere quella macchia extra-umana, quello "zingaro ladro di bambini" che risorge come un antico rimosso nello spigolo sporco della nostra più malata modernità. Eccolo il Medioevo che avanza, corredato da Internet e da You Tube, mentre l'establishment tutto finge di non vedere. Eccola la legalità bipartizan che osserva imperturbabile l'opera scientifica di pulizia etnica messa in campo dagli eserciti camorristi nello sterminato hinterland partenopeo. Complimenti all'Italia riconciliata nel galateo parlamentare, dove si celebra non tanto la fine della "guerra civile" simulata che ha reso urlata e viscerale la politica al tempo dell'avvento di Berlusconi, ma dove si rende solenne l'esaurimento forzoso della politica come spinta conoscitiva e trasformatrice degli assetti sociali dominanti, dove si canta il de profundis alla politica intesa come alternativa, passione civile, persino utopia. E anche della politica intesa come discernimento individuale e memoria collettiva: potremo raccontare a qualcuno dei nostri figli, magari quelli con la testa rasata, magari quelli appesi sull'altalena di piccoli miti miserabili che miscelano lo stadio di oggi e il lager di ieri, cosa accadde quando, neppure troppo tempo fa, altre squadre giovanili, altre ronde di giustizieri, cercarono di "derattizzare" la bella Mitteleuropea dalle untuose presenze degli zingari? Sapremo dire che l'industria dell'orrore fu alimentata dalle parole cattive, dalle facili superstizioni, dall'ignoranza diffusa? Sapremo dire di quelle tribù nomadi che, con le loro leggende e i loro cammini di libertà, con gli echi gitani o balcanici dei loro suoni e delle loro poesie, conobbero il gelo dei vagoni piombati, e poi cominciarono un viaggio senza ritorno, e poi fecero la doccia nelle camere a gas, e poi finirono su per il camino dei forni? Duecentomila morti tra quei nomadi che la croce uncinata strappò dai villaggi. Non c'è più nessuno che capisca che stiamo toccando il fondo? Nessuno che alzi la voce contro chi umilia la vita degli altri? Questa inaudita legittimazione "politica" dell'intolleranza non sarà solo una livida girandola di violenza anti-rom, ma diventerà la cifra di un tempo nuovo e assai inquinato, di un'atmosfera mefitica e cupa, dove ciascuno potrà appiccare il suo rogo personale, perché non c'è nulla di più facile che offrire alla folla inferocita un povero cristo da crocifiggere, un capro espiatorio il cui sacrificio non risolve alcun problema ma almeno sazia la sete di sangue che non abbiamo mai del tutto estinto. Altro che galateo. Non si è più in grado di vedere il respiro di un bambino dentro l'immagine di un piccolo rom, non c'è analisi possibile di problemi complessi, non c'è più neanche pietà. Anche la Chiesa appare prigioniera delle proprie prudenze. Non c'è nessuno che asciughi le lacrime di uno zingaro dopo che gli abbiamo bruciato la baracca spingendolo ad un nuovo esodo verso il nulla. Siamo ancora alla prese con eretici e streghe e sodomiti e giudei, ancora abbiamo bisogno di celebrale l'igiene del mondo, ancora subiamo il fascino del fuoco. Nel nome di una legalità affidata alla polizia speciale della camorra. Siamo camorristi ma legalitari, questa non è il nazi-decoro borghese di Verona, questa è la Napoli che fu la capitale dell'accoglienza e dell'umanità. Sta bruciando un intero mappamondo di sentimenti, di valori, di cultura, di coscienza: tutto sembra trascinato in quei fuochi notturni. Altro che sconfitta elettorale. Siamo senza radici in questa immensa babele di monnezza e cenere, dinanzi a riti di purificazione e violenza che suscitano il plauso populista. Forse è anche questo il deserto che dovremo attraversare.
Da Liberazione 17/05/08
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